Kintsugi (dal giapponese kin 金 (oro) e tsugi 継ぎ (riparare) è una tecnica artistica giapponese nata alla fine del 1400 con la quale si utilizza l’oro – o un altro metallo prezioso – per saldare insieme frammenti di un oggetto rotto. [http://www.giapponeinitalia.org/kintsugi-larte-riparare-larte/]
Ma, così è peggio, starete pensando, si vedranno ancor di più i punti di rottura!
Immaginate di invitare delle persone a cenare a casa vostra, porgereste loro delle tazze o un’insalatiera rotta e incollata? Credo proprio di no, sono sicura che prendereste il servizio buono, quello che non è sbeccato, non è rattoppato.
Lo stesso facciamo con noi stessi: non mostriamo i nostri punti più delicati, fragili, piuttosto usiamo trucco, maschere, correttore, atteggiamenti per non svelare ciò che siamo veramente. Nascondiamo gli oggetti sbeccati e rincollati, come le nostre fragilità.
Eppure l’arte del Kintsugi ci suggerisce qualcosa di nuovo. Ci sta dicendo che ricomponendo i pezzi con questa tecnica, è proprio la frattura a dare unicità a quell’oggetto, non ce ne sono altri come quello, anzi sono proprio le sue imperfezioni a renderlo speciale.
Cosa facciamo noi delle nostre ferite che hanno segnato irrimediabilmente la nostra vita? A partire da quelle ricevute nella relazione coi propri genitori, coi partner che ci siamo scelti, negli incontri e accadimenti.
Possiamo vivere da vittime nel rancore per aver ricevuto ingiustizie dalla vita. Possiamo accusare il/la partner per non essere stato ciò che aveva promesso di essere, per essere stato altro. Possiamo odiare noi stessi per non essere stati all’altezza delle nostre aspettative, come genitori, come professionisti, come partner.
Possiamo fare delle nostre ferite il veleno che intossica il nostro corpo, quello mentale, spirituale, affettivo, emotivo, relazionale, e anche quello fisico. E non farlo sapere a nessuno, perché ci teniamo tutto dentro. Nessuno deve sapere come sono in realtà e quanto dolore mi sta divorando, giorno dopo giorno.
Temiamo di essere giudicati per la mancata perfezione, interiormente avvertiamo l’ansia del giudizio per cui quello che facciamo non basta mai, non siamo mai all’altezza, non ci possiamo rilassare mai. Figuriamoci mostrare le fragilità… Nascondiamo qualunque incrinatura.
Non si vive bene così, per niente, sentite quanto dolore in giro! Questa armatura di ferro che indossiamo sempre e ovunque non è vitale, al contrario, ci mortifica, ci toglie il respiro, nella pretesa di non voler mostrare a noi stessi ciò che siamo realmente.
Non si tratta di mostrare agli altri, bensì di non nascondere a se stessi. Come? Valorizzando la ferita con polvere d’oro!
Mi spiego. Laddove ho vissuto una esperienza dolorosa è la circostanza in cui ho conosciuto nuove parti di me, ho dovuto mettermi in gioco, probabilmente avrò dovuto attraversare la sofferenza, forse la disperazione. Avrò attraversato una lunga notte di dolore dove tutto era immerso nello stesso buio e niente sembrava poter cambiare. E invece anche quella lunga notte così interminabile è finita, è passata, volente o nolente, sono apparse le prime luci di un giorno nuovo.
Le cicatrici di quella esperienza parlano di me, della mia imperfezione che è molto preziosa, se non la nascondo e non la maschero. Quei segni diventano ciò che mi renderà unica nel mondo, con la mia storia, tutta intera anche la parte dolorosa. Non c’è notte senza giorno, e non c’è giorno senza notte. Banale? Eppure viviamo come se dovesse essere solo giorno, sempre. Come se dovessimo vivere solo ad occhi aperti, senza mai socchiudere le palpebre: abbiamo necessità di chiuderle per poterle riaprire e guardare meglio il nostro mondo, la nostra vita.
Abbiamo bisogno di riabbracciare la nostra storia, di colare d’oro le parti più dolorose e di volerci bene proprio per le nostre imperfezioni. Forse riusciremmo ad amare meglio anche gli altri, perché li riconosceremmo unici proprio per le loro imperfezioni. Ci libereremmo dell’ansia da prestazione che ci attanaglia quando, illusi, inseguiamo la perfezione, a qualunque costo.
Il Kintsugi è una tecnica complessa che richiede elevata manualità e precisione, nonché calma e pazienza.
E lo stesso vale per recuperare i pezzi della nostra vita: un percorso fatto con una persona competente e preparata come un Counselor può aiutarti a scoprire la bellezza della tua imperfezione.
La prima volta che una coppia di amici ci venne a trovare nella casa nuova ci portarono una mattonella di ceramica presa a Gerusalemme, era per noi, un augurio di pace per la nostra casa e la nostra vita matrimoniale. Gli anni a seguire hanno visto alternare periodi burrascosi e incerti ad altri più tranquilli. Una volta la mattonella cadde e si ruppe. Mi rattristai, temevo fosse di cattivo auspicio. Non buttai via i pezzi e un giorno decisi di incollarli, e rimisi la mattonella al suo posto. Solo allora compresi: un po’ sbeccata, non più perfetta come prima, era diventata parte della nostra storia, di coppia e di famiglia. Ora è veramente nostra (grazie Cri&Dom).